Occhi viola
Quando il gallo cantò, Sara era già sveglia.
“L’ho battuto di nuovo”, pensò, sorridendo a denti stretti dopo un’altra notte quasi insonne.
Non era la prima, e sapeva che non sarebbe stata l’ultima.
Se la campana della chiesa parrocchiale avesse potuto suonare a quell’ora, si sarebbero sentiti da poco cinque rintocchi.
“Che palle”.
Ci mise dieci secondi circa ad essere operativa; spalancò gli occhi, accese la luce da lettura, attivò la connessione dati del cellulare e sbirciò WhatsApp.
Nessun messaggio.
“Beh, ci sta”.
Del resto, a quell’ora dormono quasi tutti.
I suoi coetanei, tutti.
Si stropicciò lentamente, infastidita dal risveglio così precoce. Si tirò su a sedere sul letto con i cuscini a mo’ di schienale, prese gli auricolari dal comodino e attivò YouTube. Inutile piangere sul sonno perduto: ne avrebbe approfittato per migliorare l’inglese con una videolezione. Grazie a queste, e a Laura, iniziava a comprendere così bene la lingua che a volte si scopriva a pensare tra sé e sé in inglese, in uno di quei dialoghi interni che da sempre, comunque, teneva anche in italiano.
Terminò il video poco prima delle sei e mezza, giusto in tempo per rimettere tutto a posto e fingere di dormire ancora. Un sonno popolato di principesse e castelli, come sua madre avrebbe voluto. Guai se avesse scoperto che soffriva ancora di insonnia così frequentemente; le avrebbe dato il tormento.
“Che palle”, bis.
Quando alle sei e trenta in punto sua madre bussò alla sua porta, la recita era pronta.
«Tota, piccolina, è ora di svegliarsi, devi andare a scuola», disse ad un volume di voce poco più alto di un sussurro.
Silenzio.
«Certo che sei proprio una dormigliona» cinguettò entrando.
Silenzio, ancora.
«Forza Sara, so che vorresti dormire un altro po’, ma è davvero ora di alzarsi. Altrimenti tu farai tardi a scuola ed io a lavoro».
Piano e lentamente come l’inizio di un Bolero, la voce di Sara lasciò il letto: «Mhmm, mamma… Uffa, stavo dormendo così bene…». Biascicò le parole e si stropicciò fortemente gli occhi. Si alzò, poggiando la schiena alla testiera del letto e sorrise alla madre.
La donna, più giovanile della sua età anagrafica, le restituì il saluto, gli occhi brillanti d’amore. Si mosse rapida verso il letto, tentando di anticipare la prevedibile difesa di Sara, ma non fu abbastanza svelta: il bacio destinato alla guancia destra atterrò sul braccio della ragazza, che aveva prontamente chiuso la guardia come un pugile alle corde.
«Mamma, ti prego! Non ho più sei anni!», piagnucolò Sara, infastidita dalle smancerie materne.
«E dove sta scritto che io potessi sbaciucchiarti solo fino a quell’età?» replicò la madre, sollevandosi dal letto, tanto consapevole di aver perso questo match quanto certa che ci avrebbe riprovato il giorno successivo. «Dai forza, la colazione è pronta. Muoviti, che alle sette e venticinque si parte e se c’è traffico arriviamo giusti giusti».
Non appena la donna lasciò la stanza, diretta in cucina, Sara riprese in mano lo smartphone.
Anche il suo mondo si stava pian piano svegliando. I ventidue messaggi non letti nella chat WhatsApp della sua classe ne erano una conferma abbastanza esplicita.
Tra vomitevoli “buongiorno” e “buongiornissimo”, diabetici baci e cuoricini, alcuni commenti di certi compagni di classe spiccavano per idiozia e cafonaggine.
“Sempre lo stesso schifo ogni giorno… Se solo potessimo riprodurci senza di voi…”.
Sbuffò, disattivando lo schermo. Almeno per un po’ era salva. Tuttavia, sapeva bene che tra poco più di un’ora non avrebbe avuto nulla da disattivare per evitare il branco di imbecilli con cui lei e le sue compagne dovevano condividere la classe, ed in generale il mondo.
[… continua …]
“L’ho battuto di nuovo”, pensò, sorridendo a denti stretti dopo un’altra notte quasi insonne.
Non era la prima, e sapeva che non sarebbe stata l’ultima.
Se la campana della chiesa parrocchiale avesse potuto suonare a quell’ora, si sarebbero sentiti da poco cinque rintocchi.
“Che palle”.
Ci mise dieci secondi circa ad essere operativa; spalancò gli occhi, accese la luce da lettura, attivò la connessione dati del cellulare e sbirciò WhatsApp.
Nessun messaggio.
“Beh, ci sta”.
Del resto, a quell’ora dormono quasi tutti.
I suoi coetanei, tutti.
Si stropicciò lentamente, infastidita dal risveglio così precoce. Si tirò su a sedere sul letto con i cuscini a mo’ di schienale, prese gli auricolari dal comodino e attivò YouTube. Inutile piangere sul sonno perduto: ne avrebbe approfittato per migliorare l’inglese con una videolezione. Grazie a queste, e a Laura, iniziava a comprendere così bene la lingua che a volte si scopriva a pensare tra sé e sé in inglese, in uno di quei dialoghi interni che da sempre, comunque, teneva anche in italiano.
Terminò il video poco prima delle sei e mezza, giusto in tempo per rimettere tutto a posto e fingere di dormire ancora. Un sonno popolato di principesse e castelli, come sua madre avrebbe voluto. Guai se avesse scoperto che soffriva ancora di insonnia così frequentemente; le avrebbe dato il tormento.
“Che palle”, bis.
Quando alle sei e trenta in punto sua madre bussò alla sua porta, la recita era pronta.
«Tota, piccolina, è ora di svegliarsi, devi andare a scuola», disse ad un volume di voce poco più alto di un sussurro.
Silenzio.
«Certo che sei proprio una dormigliona» cinguettò entrando.
Silenzio, ancora.
«Forza Sara, so che vorresti dormire un altro po’, ma è davvero ora di alzarsi. Altrimenti tu farai tardi a scuola ed io a lavoro».
Piano e lentamente come l’inizio di un Bolero, la voce di Sara lasciò il letto: «Mhmm, mamma… Uffa, stavo dormendo così bene…». Biascicò le parole e si stropicciò fortemente gli occhi. Si alzò, poggiando la schiena alla testiera del letto e sorrise alla madre.
La donna, più giovanile della sua età anagrafica, le restituì il saluto, gli occhi brillanti d’amore. Si mosse rapida verso il letto, tentando di anticipare la prevedibile difesa di Sara, ma non fu abbastanza svelta: il bacio destinato alla guancia destra atterrò sul braccio della ragazza, che aveva prontamente chiuso la guardia come un pugile alle corde.
«Mamma, ti prego! Non ho più sei anni!», piagnucolò Sara, infastidita dalle smancerie materne.
«E dove sta scritto che io potessi sbaciucchiarti solo fino a quell’età?» replicò la madre, sollevandosi dal letto, tanto consapevole di aver perso questo match quanto certa che ci avrebbe riprovato il giorno successivo. «Dai forza, la colazione è pronta. Muoviti, che alle sette e venticinque si parte e se c’è traffico arriviamo giusti giusti».
Non appena la donna lasciò la stanza, diretta in cucina, Sara riprese in mano lo smartphone.
Anche il suo mondo si stava pian piano svegliando. I ventidue messaggi non letti nella chat WhatsApp della sua classe ne erano una conferma abbastanza esplicita.
Tra vomitevoli “buongiorno” e “buongiornissimo”, diabetici baci e cuoricini, alcuni commenti di certi compagni di classe spiccavano per idiozia e cafonaggine.
“Sempre lo stesso schifo ogni giorno… Se solo potessimo riprodurci senza di voi…”.
Sbuffò, disattivando lo schermo. Almeno per un po’ era salva. Tuttavia, sapeva bene che tra poco più di un’ora non avrebbe avuto nulla da disattivare per evitare il branco di imbecilli con cui lei e le sue compagne dovevano condividere la classe, ed in generale il mondo.
[… continua …]