Il gigante

Aprì gli occhi, ma non vide nulla a parte i contorni sfocati delle cose che riempivano la stanza.

La pendola piazzata sul muro opposto al letto, se solo avesse potuto vederla, gli avrebbe segnalato che erano le sei e ventisette del mattino.

Gli occhi del ragazzo, schiusi solo un filo più di uno spiraglio, si mossero verso la finestra rivolta ad est, priva di tende e con le persiane sempre aperte. Intravedeva il parco di San Marco, appoggiato ai piedi dell’omonimo nuraghe. Più in là, la giara di Gesturi, i cui contorni iniziavano a delinearsi a poco a poco, abbozzati come in un quadro impressionista di cui l’ora blu del mattino era pittrice.

Rimase qualche minuto così, ad osservare.

Il sole stava iniziando una nuova battaglia della sua eterna guerra contro l’oscurità.

Luce e buio, bene e male, giusto e sbagliato.

Si chiese se la luce sconfiggesse sempre il buio, ovunque nell’universo. Forse no, in effetti. Ma lì, in quel punto dello spaziotempo in cui si trovava, si: e lo stava di nuovo facendo.

Vide la giara farsi ametista, poi rosa, ed infine splendere del proprio colore illuminata dai primi raggi del sole.

“Mi stuferò mai di questa vista?”, si chiese, emozionato dalla bellezza che gli riempiva gli occhi. Scrollò le spalle: forse, un giorno, ma sicuramente non oggi.

Oggi era giornata di giara.

Questa consapevolezza lo svegliò e caricò di energie molto più di una tinozza di caffè.

Attraversò la stanza, dirigendosi verso il bagno. Quando passò vicino all’orchidea, una phalaenopsis dai fiori rosacei puntinati di rosso, ne accarezzò delicatamente lo stelo. Era una pianta meravigliosa, che aveva trovato nel davanzale di una delle finestre a nord il suo posto nel mondo. Fioriva e rifioriva continuamente da oltre quattro anni.

Si buttò sotto la doccia, sempre un filo più fredda di quanto il corpo avrebbe considerato confortevole. Sbatté un paio di volte contro le pareti del box: ormai faticavano a contenere il suo corpo che, da sempre alto, era ora diventato anche più muscoloso della media.

Si guardò velocemente allo specchio: con gli anni il colore dei capelli, prima brillante, stava virando verso il biondo cenere, soprattutto sulle punte. Uno scanzonato “chi se ne importa” fu l’unica reazione a quella constatazione.

Si asciugò così in fretta che era ancora leggermente bagnato quando indossò i vestiti da campagna. Stava morendo di fame. Si concesse solo di accendere la radio, prima di precipitarsi ad aprire il frigorifero.

Quella era la sua armeria, e le padelle le sue spade.

Mentre canticchiava la canzone che passava in quel momento, sbatté rapidamente quattro uova, le condì a dovere e le strapazzò in padella mantecandole con un fiocco di burro fuori dal fuoco.

Il piatto principale della sua colazione era pronto!

Poi, passò ai contorni.

Fiore sardo, marmellata di mirto, mezza dozzina di culingioneddus de melairanni velocemente passati in padella perché non fossero troppo freddi, un bicchierone di latte di capra, caffè.

Complètu.

Il profumo della marmellata lo catapultò in avanti, nel cuore della giornata che stava per vivere.

Amava la giara.

E la amava ancor di più quando poteva andarci per pascolare le capre insieme ad Antonio.

[… continua …]